Slovacchia, Banská Bystrica – 7 giugno 2013

Santa Messa con i Seminaristi

nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù

 

Omelia del Card. Mauro Piacenza

Prefetto della Congregazione per il Clero

 

X

[Ez 34,11-16; Sal 22; Rm 5,5-11; Lc 15,3-7]

 

 

«Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento e va a casa» (Lc 15,6-6a).

 

L’esperienza del tempo del Seminario, carissimi amici, potrebbe efficacemente essere descritta, e quasi riassunta, con l’immagine del Pastore che “si mette in spalla la pecora”. Sia che fossimo smarriti, nel momento in cui il Signore ci ha chiamati, sia che fossimo pacificamente nell’ovile, l’annuncio grande che in questo Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù si rinnova, è che Egli ci ha presi sulle sue spalle.

La vocazione è questo atto assolutamente gratuito della predilezione divina che, senza alcun nostro merito, si è piegata su di noi, ci ha scelti, ci ha chiamati e desidera costituirci per andare e portare frutto, e perché il nostro frutto rimanga.

Il Signore ci “mette sulle sue spalle” nella gioia di attirarci a sé e nell’esultanza per la nostra docilità. Egli è “tutto contento” perché Dio non gode se non del nostro libero sì a lui. Dio gode del nostro grande si alla sua chiamata e dei nostri quotidiani, piccoli, ma fedeli sì alla verità, al bene, alla bellezza, alla giustizio, alla Chiesa sposa del Figlio unigenito.

Se la vocazione inizia con un sovrano atto di Dio che chiama, la risposta alla vocazione coinvolge tutta la nostra persona, ogni più piccola fibra della nostra intelligenza, della nostra libertà, della nostra volontà e perfino del nostro corpo.

Non si sceglie la vocazione, ma si è scelti per la vocazione! Essa non è una delle possibili “professioni” da svolgere!

La vocazione è una vita da vivere, un amore da accogliere e da ricambiare, un tutto da ricevere e un tutto da donare, a Dio e ai fratelli.

Se non fosse chiara questa dimensione totalizzante della vocazione, sarebbe meglio attendere. È meglio non aver fretta di farsi ordinare, ma accogliere nel tempo il dono dello Spirito Santo che, progressivamente, ci configura al Figlio unigenito, rendendo docile la nostra libertà, perché si lasci “prendere sulle spalle” dal Signore.

Un giorno sarete chiamati “padri” ed ogni fedele laico attenderà da voi, dal vostro tratto umano, dalla vostra parola autorevole e dalla vostra carità evangelica, di poter riconoscere immediatamente il Buon Pastore, il Pastore mite e misericordioso, capace di prendere su di sé i pesi delle pecore.

Ma come poter portare il peso del ministero, il peso delle pecore, se non abbiamo permesso al Signore, negli anni del Seminario, di prenderci sulle sue spalle e di gioire per noi?

Che cosa significa, in questo senso, lasciarsi portare dal Signore?

Non significa certamente rinunciare alla nostra fattiva collaborazione e corresponsabilità nella formazione. Significa, al contrario, riconoscere che esiste un orizzonte più ampio del nostro modo di vedere e comprendere; significa riscoprire ogni giorno che solo il Signore è capace di dilatare il nostro cuore e la nostra mente, sino alla misura della Sua stessa carità, sino alla misura della carità di Cristo. Significa che il tempo del Seminario è una occasione unica per imparare quell’intimità divina che dovrà accompagnare ogni istante della nostra esistenza sacerdotale. Se l’intimità con Dio non è coltivata e non si impara nel tempo del Seminario, le conseguenze sul ministero possono essere gravissime, ed ancor più gravi quelle sulla stessa esistenza del sacerdote.

La grazia che ivi è data, carissimi amici, è straordinaria! Siete stati scelti da Cristo risorto, per collaborare all’avvento pieno del suo Regno, per dilatarlo fino agli estremi confini della terra. Mantenete largo lo sguardo sull’ampiezza della missione a voi affidata e non lasciatevi mai intimidire dalle difficoltà o irretire dal mondo, che come le sirene dell’Odissea, chiama a se stesso e distoglie dalle mete autentiche.

Lasciarsi “prendere sulle spalle” dal Signore significa innanzitutto che il nostro peso, il peso della nostra storia, non grava più su di noi, ma è assunto da lui. Immaginate la forza dirompente che questo ha nella vita di ciascuno. Il mio peso, il peso della mia umanità, non è più un pesante fardello da trascinare ogni giorno, con le sue insicurezze e le sue paure, la sua fragilità ed il suo limite e perfino il suo peccato, ma diviene il dolce peso che Cristo si è caricato sulle spalle e che Egli stesso sceglie di portare per noi con un amore, con una tenerezza infinita.

Quale abisso di misericordia scaturisce dal Sacratissimo Cuore del Signore! Quale grande carità e quale libertà autentica accade, in chi vive così profondamente liberato!

 Lasciarsi “prendere sulle spalle” dal Signore significa, poi, poter guardare con Lui, nella sua stessa direzione, e poter guardare, per grazia, anche più lontano. È la promessa del Signore stesso: «Farete cose più grandi di me»! Sì ma a condizione che ci lasciamo plasmare dallo Spirito, cioè da quella comunione nella quale, oggettivamente, lo Spirito Santo dimora: la Santa Chiesa, nostra splendida Madre.

È la Chiesa che forma i suoi preti, perché Cristo ha affidato alla Chiesa il compito di custodire la Tradizione, di viverla, di permettere che essa sempre riaccada, in quell’attualità che rende la Chiesa di Cristo la realtà più giovane, più viva, più attuale e più dinamica, di ogni altra realtà presente nel mondo e più capace di autentico rinnovamento perché in essa è operante lo Spirito che fa nuove tutte le cose, perché in essa c’è il perdono con la confessione sacramentale. Non lasciatevi ingannare da niente e da nessuno: il rinnovamento sta solo qui. Di questa Chiesa voi siete figli, protagonisti e, a suo tempo, sarete pastori.

Vivete con profondo impegno il tempo del Seminario! Che sia un tempo nel quale vi stringete attorno a Gesù, in attesa del dono dello Spirito, per la missione. Che sia un crescere come Sacerdoti “di cultura e di pietà”.

Di cultura, perché la preparazione dottrinale e teologica è di fondamentale importanza per poter rendere ragione della speranza che è in noi. Coltivate la fede anche attraverso la bellezza della cultura a 360°. La cultura Letteraria, la cultura artistica, quella musicale e quella filosofica, quella sociale e scientifica. Nulla di ciò che riguarda l’uomo è estraneo al Sacerdote. Se il Seminario farà di voi autentici uomini di cultura, cioè non certo intellettuali separati dal mondo e dalla realtà, ma pastori capaci di intercettare i reali bisogni del proprio popolo e di guidarlo con paterna autorevolezza, allora avrà svolto quel prezioso ed indispensabile ruolo di sintesi dottrinale di cui oggi si sente estremo bisogno., laddove manca la sintesi e la chiarezza dottrinale, c’è posto per ogni possibile deragliamento ecclesiale e sociale.

E poi in Seminario dobbiamo educarci all’autentica pietà. Alla pietas latina, nella pregnanza straordinaria del termine. Dobbiamo educarci, cioè, a condividere la passione del pastore per le pecore, perché affascinati dal Pastore stesso.

Vivere come Seminaristi di pietà, significa innanzitutto amare sinceramente il Signore, provare tenerezza per la Sua tenerezza, amore per il Suo amore, attaccamento indiscusso e certo a Lui ed alla Sua Chiesa, alla Sua Presenza reale nell’Eucaristia ed alla Misericordia, alla sua Madre Santissima ed a tutte le grazie che dal Cuore addolorato ed immacolato della Vergine scaturiscono. Significa amare il Papa, come centro della comunione e garanzia dell’unità della fede e della Chiesa!

Vi attendono, carissimi amici, giorni ed anni meravigliosi. Se vi lascerete prendere sulle spalle da Cristo, buon Pastore, contemplerete per tutta l’esistenza terrena, un’infinità di miracoli. Il Signore si mostrerà nei sacramenti e nei fedeli laici, in voi stessi e nelle circostanze e sempre, ogni giorno, vi chiederà di rinnovare il vostro “sì” incondizionato di amore e di servizio. Un “sì” che si estende a tutto il vostro essere, alla vostra intelligenza, al vostro cuore, alla vostra volontà, al vostro corpo. Un grande “sì”. La castità perfetta nel celibato e la riverenza ed obbedienza che prometterete davanti al santo altare rientrano in questo grande “sì” d’amore ripetuto con gioia ogni giorno di vostro vita. Alla pienezza di questo “sì” è legata la vostra gioia e la fecondità del vostro ministero.

La vita del Sacerdote, in fondo, è solo un rispondere ogni giorno alla domanda del Signore: «Simone di Giovanni, mi ami tu? … pasci le mie pecorelle». Educhiamoci, nel tempo del Seminario, a rispondere a questa domanda, dalla quale scaturisce una nuova moralità per l’intera umanità. Facciamo nostra la risposta di SimonPietro e accogliamo il mandato del Risorto. Allora non sarà un tempo “in attesa della vita”, ma sarà vera vita, perche avrà educato al rapporto constante ed intimo con il Signore che, pieno di gioia, ci prende sulle sue spalle ogni giorno della nostra esistenza e “va a casa”, cioè ci conduce con sé, nella sua dimora, nel suo cuore trafitto, rendendoci così partecipi della sua stessa vita.

La beata Vergine Maria addolorata, a cui la vostra nobile Nazione è dedicata, educhi sempre il vostro ardente cuore di Seminaristi innamorati di Cristo e della Sua Chiesa. Non abbiate paura delle difficoltà. Tutto si supera con l’aiuto della grazia. Se c’è umiltà vera, se c’è retta intenzione e disponibilità e docilità al cambiamento, alla conversione quotidiana, tutto può sempre essere rinnovato.

Il segreto è uno solo: lasciarsi prendere “sulle spalle da Gesù”.  Amen.