Slovacchia, Banská Bystrica – 7 giugno 2013

Conferenza ai Formatori dei Seminaristi

 

Intervento del Card. Mauro Piacenza

Prefetto della Congregazione per il Clero

 

Carissimi Confratelli nel Sacerdozio,

è per me particolarmente significativo incontrarvi, in questa Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, che tutti ci riconduce all’essenza dell’automanifestazione di Dio come Amore, della nostra fede cristiana e del ministero, che il Signore ha voluto affidarci.

Il Sacratissimo Cuore di Gesù è, infatti, il “Seminario ideale”, luogo nel quale, continuamente, imparare l’Amore del Padre, imitare l’autodonazione del Figlio e lasciarsi sospingere dalla dinamicità dello Spirito Santo. Solo l’orizzonte ampio della fede permette di generare, mantenere e guidare comunità, nelle quali il percorso formativo stabilito dalla Chiesa sia, non semplicemente, “seguito”, ma riaccada come vero e proprio avvenimento di grazia, sia per i candidati al ministero, che il Signore pone sul nostro cammino, sia per le vostre stesse persone, scelte dalla Provvidenza per un compito assolutamente fondamentale per la vita ed il futuro della Chiesa.

Se il Seminario non è il luogo nel quale ci si innamora del Signore, se esso non è il luogo nel quale stare “cuore a cuore” con Lui, allora, come direbbe Papa Francesco, qualcosa non va!

Come afferma reiteratamente, nei suoi diari, San Giovanni Maria Vianney, «il Sacerdozio è l’Amore del Cuor di Gesù» e, pertanto, il luogo nel quale ci si prepara a vivere il Sacerdozio non può che essere un ambiente umano e spirituale, nel quale, progressivamente, ma realmente, ci si educa a tale amore, entrando in quella necessaria immedesimazione con Cristo Sacerdote, che è a fondamento dello stesso Ordine sacro. Che cosa può significare, nell’oggi della fede, nella contemporanea cultura secolarizzata, educare un giovane all’Amore del Cuore di Gesù?

Ritengo che, innanzitutto, si debba riconoscere insieme che, tra i quattro ambiti legittimamente e doverosamente indicati dalla Pastores dabo vobis e dal recente Magistero ecclesiale, siamo chiamati, in hodiernis adiunctis, a sottolineare, in modo peculiare, l’importanza della formazione spirituale.

È necessario intendersi, a tale riguardo, su che cosa realmente sia “spirituale”, poiché – lo sappiamo bene – l’autentica spiritualità cristiana è quanto di più attento possa esserci alla realtà e mai si configura come fuga da essa, o come arbitraria estraneità. Il cristiano – e, a maggior ragione, colui che è chiamato al Sacerdozio ministeriale – deve essere certamente estraneo al peccato, ma non certo alla realtà in quanto tale! Essa, infatti, è il luogo, nel quale Dio stesso è voluto entrare, assumendo la natura umana e, con essa, l’integralità della nostra condizione.

Il primato della vita spirituale è, allora, da intendere come una “categoria sintetica”, nella quale sia una robusta umanità, sia una buona formazione dottrinale, sia la giusta creatività e lo zelo pastorale convergono in quella sintesi, che, seppur la si raggiunge solo dopo anni di ministero, deve almeno essere abbozzata, essere germinalmente riconoscibile, nella stessa proposta formativa.

Non sono tanto le capacità dialettiche di contrapporsi alla secolarizzazione che oggi gli uomini apprezzano, né tantomeno le “piroette pastorali”, nelle quali i sacerdoti si mimetizzano con il mondo, animando ogni tipo di iniziativa, che nulla, o poco ha a che fare con l’autentico annuncio del Vangelo. Ciò che veramente gli uomini apprezzano è la radicalità della vita evangelica, la letizia dell’incontro salvifico con Cristo, del quale si è fatta reale esperienza, la capacità di mediare questo incontro, attraverso un contatto umano sereno, accogliente, dal tratto caritatevole ed umanamente significativo e, perciò, significante.

Riconoscere, come formatori, il primato della vita spirituale, come “luogo sintesi” dell’intera formazione significa, allora, dedicare energie e tempo alla crescita spirituale dei candidati, valutando che, in essa, anche gli altri ambiti della formazione siano adeguatamente sviluppati.

Non si tratta di istruire scrutini di ammissione al Sacerdozio, che sembrino indagini per il processo di beatificazione, nelle quali si chiedano l’esercizio eroico delle virtù a dei seminaristi! Si tratta, semplicemente, di incontrarli davvero, nella loro concreta condizione esistenziale, di assumere, con fraterna capacità di condivisione, i loro punti di partenza, i loro limiti, le loro storie, sapendo che nessuno parte da troppo lontano, tanto da non poter arrivare e che nessuna storia è così ferita, da non poter essere risanata da Cristo.

Questa prima fase dell’accompagnamento e della formazione dei seminaristi, nella quale, oggettivamente, un ruolo di particolare rilievo è rivestito dal Direttore spirituale, domanda che ad essi si dedichi il tempo necessario dell’ascolto e del dialogo, perché si crei quell’indispensabile fiducia, che diviene l’ambiente naturale, nel quale la formazione viene recepita pienamente, le correzioni vengono accolte con gratitudine ed ogni necessario passo è compiuto con serenità e reciproca soddisfazione.

Tale cura della primissima fase della formazione, quasi a cavallo tra il discernimento vocazionale e l’inizio della formazione presbiterale, rappresenta un tassello costitutivo di quella progressiva immedesimazione con il Cuore di Gesù, che è il Sacerdozio.

L’accoglienza nel Presbiterio non inizia, come erroneamente taluni credono, nel giorno dell’Ordinazione sacerdotale, ma proprio con l’ingresso in Seminario, che è – e deve essere – il luogo migliore della Diocesi, sia umanamente, sia spiritualmente, sia dottrinalmente, sia liturgicamente.

I candidati al Sacerdozio giungono in Seminario, avendo compiuto un percorso, non di rado, intriso di mondo e domandano alla Chiesa quel discernimento e quel sostegno, così necessari per superare le talora eccessive mondanizzazioni ed entrare nella “nuova logica” del Vangelo. Non possiamo deluderli!

Se incontreranno un ambiente umano favorevole, un luogo nel quale la fede, non solo, è professata, ma è vissuta come esperienza concreta di ogni giorno e come orizzonte, nel quale le scelte vengono compiute, le idee maturate e il fratello accolto, non sarà difficile il confronto col mondo ed il sorgere della consapevolezza della radicale differenza tra ciò che hanno lasciato e ciò che di più grande, più vero e nobile hanno incontrato.

I nostri Seminari dovrebbero essere l’inizio dell’esperienza del centuplo, l’inizio di quello stare nel Cuore di Gesù, che, per l’intera esistenza sacerdotale, determinerà, nei pastori, la letizia e lo zelo per le anime.

Un centuplo, che non è artificialmente costruito dalle strategie educative, o di animazione, ma che è, innanzitutto, sperimentato nello stare cuore a cuore con Gesù, nell’adorazione eucaristica, nell’imparare e godere della bellezza del Culto divino, nel quale, con straordinaria forza, siamo posti davanti a Dio e siamo chiamati ad adorarlo.

Familiarizzare con le Sacre Scritture, quale luogo privilegiato dell’automanifestazione di Dio e dell’ascolto della sua divina Volontà, vivere un rapporto intimo con i Sacramenti, vissuti mai come dovere da adempiere, ma come reale respiro dell’anima e necessaria energia per il cammino, immergersi nell’intimità divina, alla quale la Beata Vergine Maria conduce, e tendere ad una sintesi tra la teologia studiata, la dottrina rivelata, la fede pregata e la vita vissuta rappresenta l’orizzonte principale di una formazione, che voglia dirsi realmente riuscita, nel senso di autenticamente ecclesiale.

Il problema della formazione rimane sempre quello della fede! Quando gli uomini che accompagniamo al Sacerdozio saranno persone di fede, avranno assimilato un criterio di giudizio fondato sulla fede, agiranno moralmente partendo dalla fede e guarderanno alla realtà con occhi di fede, il ruolo formativo, che la Chiesa ci ha affidato, sarà stato portato a compimento.

La situazione culturale dominante lo domanda, il vero Popolo di Dio ce lo chiede, le esigenze della Chiesa, mai come in questo tempo esposta agli occhi del mondo, lo impongono: dobbiamo essere estremamente seri nel discernimento vocazionale e, al contempo, estremamente attenti nel giusto accompagnamento, perché nessuna vocazione abbia a perdersi per nostra responsabilità.

Non abbiamo timore a dire dei “no”, laddove fossero necessari; potrebbero anche divenire occasione di più attenta maturazione e conversione. Ma quegli eventuali “no” vanno detti per tempo.

Non abbiamo timore di fare proposte “alte”, impegnative, che includano una chiara separazione dal mondo, nella mentalità, nello stile di vita, nella disciplina e nella conseguente identità personale. Ciò non significherebbe affatto fuggire, o separarsi dall’ambito naturale dell’esercizio del ministero, ma significherebbe piuttosto approfondire la propria identità, che è chiamata a coincidere, sempre di più, con la missione affidata da Dio.

L’immedesimazione con il ministero rappresenta, insieme al primato della vita spirituale, una delle categorie sintetiche più efficaci dell’identità sacerdotale. Identità, che, se è donata ontologicamente, nella sacra Ordinazione, domanda di essere progressivamente accolta sia nella dimensione psico-affettiva, sia in quella più concretamente esistenziale.

Non ci si improvvisa sacerdoti, uomini di preghiera, casti ed obbedienti. Tutto questo è il frutto di un cammino, talvolta doloroso, sempre impegnativo e, comunque, profondamente coinvolgente sia gli educatori, sia i candidati, sia la comunità del Seminario, sia l’intera realtà ecclesiale, alla quale i candidati sono destinati.

Come formatori, vi è stato affidato uno dei compiti più belli, interessanti, affascinanti, che si possano ricevere dalla maternità della Chiesa. Avete, tra le vostre mani, il futuro della Chiesa, perché essa vi ha affidato e vi affida i suoi futuri sacerdoti, coloro che premetteranno il riaccadere della misericordia in mezzo agli uomini, l’annuncio, sempre giovane e fecondo, del Vangelo ed il dono, gratuito ed abbondante, della nuova manna, il Pane del Cielo, così necessario al pellegrinaggio terreno.

Se la Chiesa, come molte volte ci ha ricordato Papa Francesco, non è un’organizzazione non governativa, allora non s tratta di formare dei top manager, dalle strabilianti capacità organizzative, o dalla particolare – e spesso troppo soggettiva – creatività. Si tratta, piuttosto, di formare degli autentici pastori, degli uomini di fede capaci di essere padri della fede del popolo, dei collaboratori del ministero apostolico, realmente immedesimati con la Chiesa, sposati con essa e appassionatamente fedeli alla propria Sposa.

Si tratta di formare uomini uniti a Cristo, alla Chiesa e al Papa, che guardino con amore al Cuore di Gesù, come fonte vitale della propria esistenza e, perciò, del proprio ministero. Uomini capaci di guardare, con amore commosso fino alle lacrime, alla tenera maternità della Beata Vergine Maria, reale e compiuta immagine della Chiesa, Sposa fedele e Madre sempre Vergine, nella quale ogni ministero trova rifugio ed ogni esistenza sacerdotale pieno compimento.

Il Signore Crocifisso, proprio nel momento del suo fianco trafitto e del suo Cuore ferito per amore nostro, dice alla Madre: «Donna, ecco tuo figlio», iscrivendo, da quel momento in poi, in modo particolarissimo ogni uomo chiamato al Sacerdozio all’unico grande Seminario della Beata Vergine Maria. Lì si impara a fare solo quello che “Lui” vuole.