CONGREGATIO PRO CLERICIS
“Sacerdoti, forgiatori di Santi per il nuovo
millennio”
“Lasciatevi riconciliare con Dio.” (2 Cor 5, 20)
“Se uno
è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono
nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé
mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato
Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini
le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
Noi
fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro.
Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che
non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché
noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.”
(2 Cor 5, 17-21)
Propongo questo testo alla
vostra meditazione perché mi ricorda una verità fondamentale per coloro che
hanno ricevuto da Cristo il ministero di perdonare i peccati nel suo nome:
siamo riconciliatori perché noi stessi siamo stati riconciliati.
Noi tutti qui presenti sappiamo per esperienza che essere
vescovo o sacerdote oggi non è facile. Siamo «segni di contraddizione». Ed è
bene che sia così, in quanto dalla sorte siamo stati resi più conformi
all’unico sacerdote Gesù Cristo. Il problema consiste nel non subire questa
condizione, bensì trasformarla in una scelta.
Quando pensiamo a ciò che
si colloca al cuore della nostra esistenza sacerdotale, ovvero la celebrazione
dei sacramenti che ci è stata affidata, ci potrebbe venire subito in mente una
frase di Paolo: «Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4, 7).
Ogni giorno, nel presiedere l’Eucaristia, cominciamo con
questa esortazione: «Prepariamoci a celebrare questa Eucaristia riconoscendo
che siamo peccatori». Ogni giorno, nel momento in cui più che mai viviamo e
agiamo «in persona Christi», siamo chiamati a verificare la nostra conformità a
Colui per il quale abbiamo scelto di dare la vita, per offrirla ai nostri
fratelli, come ha fatto il loro unico Salvatore.
Se pensiamo che il nostro ministero consista nel
testimoniare l’amore che, attraverso di noi, Gesù dimostra per il suo popolo,
dobbiamo domandarci:
-
Chi sono per me coloro che la Chiesa mi ha
affidato? Degli amministrati o dei fratelli?
-
Mi preoccupo di comprendere quello che vivono, le
loro inquietudini e le loro gioie?
Se pensiamo ai sacramenti
che celebriamo, che debbono essere dei segni che attirano gli uomini a Dio,
possiamo domandarci:
-
Mi preoccupo di prepararmi bene agli atti
liturgici, con la preghiera, la lettura, anche curando l’abbigliamento?
-
Nel mio modo di celebrare e di parlare, faccio
attenzione a dare il primo posto a Cristo, oppure sono troppo preoccupato di
valorizzare me stesso?
Troppo spesso i fedeli sono sconcertati tanto da sacerdoti che sembrano
celebrare per “routine” quanto da quelli che si comportano come delle “star”!
Se infine pensiamo al posto che dobbiamo andare a
occupare al cuore delle nostre comunità e della società, siamo chiamati a verificare
se ci comportiamo sempre e dovunque come “sacerdoti”. Vale a dire: nel nostro
modo di parlare, di organizzare la nostra vita personale, di fare ricreazione,
di vestirci, di gestire le nostre amicizie, facciamo davvero pensare a un
Altro? Infatti, se accettiamo di essere e di vivere in modo differente dal
“mondo” (nel senso giovanneo del termine), non è per mera disciplina
ecclesiastica, bensì perché chi ci vede pensi a Colui che è venuto perché gli
uomini abbiano la vita (cf. Gv 5,
24)! È proprio questo il punto.
Tra poco riceveremo il sacramento della riconciliazione.
Sottoporremo la nostra vita alla misericordia di Dio per conoscere la gioia di
essere perdonati. La parola liberatrice di Gesù, che la Chiesa conserva e
trasmette, farà di ognuno di noi un uomo nuovo, poiché «laddove è abbondato il
peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm
5, 20). Il perdono di Gesù ci libera dalle schiavitudini del passato e rende
possibile un futuro.
Così, a nostra volta, noi riconosciamo la gioia di
perdonare. Ci sarà concesso di comunicare lo spirito e la forza di Gesù per
liberare i nostri fratelli dai loro idoli, dai sentimenti di vendetta e di odio
che avvelenano la loro vita personale e collettiva. In questo mondo duro che ci
siamo fabbricati, la Chiesa porta il dono della misericordia di Dio che ci
riconcilia con i nostri fratelli e con noi stessi. Albert Camus fa dire al
protagonista de La caduta: «Mi avete
parlato del giudizio finale. Lo attendo a piè fermo. Ho conosciuto ciò che c’è
di peggio: il giudizio degli uomini». E se la priorità della nostra azione
pastorale consistesse nel proclamare la tenerezza di Dio?
Sì, amo questa Chiesa che rimane, al di là dei peccati
dei suoi membri e delle pesantezze della sua storia, uno dei rari luoghi di
misericordia in cui ciascuno di noi può mettere a nudo la verità su se stesso,
riconoscere i propri smarrimenti, ricevere il perdono per i propri errori e
ricominciare con un cuore nuovo.
Se il Santo Padre,
nel tracciare il cammino della Chiesa per il terzo millennio, ha
indicato la santità come obiettivo da raggiungere, spetta a noi pastori essere
i modelli del gregge. Lo sappiamo per esperienza, è un combattimento
quotidiano. Il Cardinal Schuster, il grande Arcivescovo di Milano, ha scritto
magnificamente che «la santità non consiste nel non essere mai caduti, ma nel
proposito di non cadere più».
Che la Vergine Maria, che ha proclamato nel suo
Magnificat l’amore di Dio che «si stende di generazione in generazione» ci
aiuti, con l’esempio della sua dolcezza e della sua perseveranza, a rivelare a
tutti i nostri fratelli che l’amore è più forte del peccato! Che la sua
presenza e la sua intercessione ci facciano ricordare che, come lei, la Chiesa
è madre!
«Signore – recita una preghiera della liturgia – che
mostri la tua potenza più di ogni altra cosa nel perdono». Ne faremo ancora una
volta l’esperienza tra qualche istante. Ecco la buona Novella per noi e per
tutti i nostri fratelli, per l’oggi e per il domani!